Le politiche antidiscriminazione in Italia si fondano sulla Costituzione all’art. 3 che postula il principio di eguaglianza in senso formale (comma 1) e sostanziale (comma 2).
Meglio articolate e dettagliate nelle leggi:
- Legge 13 ottobre 1975, n. 654, Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966.
- Legge 25 giugno 1993, n. 205, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”
La legge n. 122/1993 sanziona e condanna azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. In particolare, l’art. 1, che modifica l’art. 3 della legge n. 654/1975, riguarda la discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
- lgs. 9 luglio 2003, n. 215 – Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica
Il d.lgs. n.215/2003 dà attuazione alla direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.
L’oggetto del decreto, previsto dall’art. 1, è quello di attuare le disposizioni sulla parità di trattamento tra le persone «indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione, anche in un’ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse forme di discriminazione possono avere su donne e uomini, nonché dell’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso».
- lgs. 9 luglio 2003, n. 216 – Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro
Il d.lgs. n. 216 del 2003, in attuazione della direttiva 2000/78/CE, stabilisce la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, sia nel settore pubblico sia in quello privato, a prescindere dagli handicap, dalla religione, dalle convinzioni personali, dall’età o dall’orientamento sessuale.
Il d.lgs. distingue le fattispecie ascrivibili alle discriminazioni dirette e indirette. Introduce, inoltre, in maniera indiretta la definizione del c.d. mobbing ossia l’attuazione di molestie o di comportamenti indesiderati con lo scopo e l’effetto di violare la dignità personale creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.